Sono Mario Minotti, detto “Patacca”, e desidero riportarvi qualche mio ricordo personale sulle case di tolleranza, le famigerate “case chiuse”, i famosi “casini”a Frosinone.
Ero un giovincello molto vispo e sveglio; andavo ancora a scuola quando, con la macchina da scrivere, facendo stenodattilografia, truccai la carta d'identità rilasciatami dal Comune e anziché scrivere 1934, l’anno in cui nacqui, scrissi come data di nascita 1933. Pertanto, a 17 anni, potevo entrare in queste “case chiuse”.
La “casa chiusa” di Frosinone era ubicata dietro al palazzo delle monache in via Cavour, che tutti conosciamo. Alle spalle di piazza Garibaldi c’era questa palazzina in cui le donne ricevevano gli uomini, previo pagamento della famosa "marchetta".
Le coppie si appartavano in camera. Un giorno, io e due amici miei di piazza Garibaldi, decidemmo di andare a trovare le ragazze in questa “casa chiusa”. Entrando rimanemmo sorpresi e colpiti da un singolare incontro.
Di chi si trattava? In una cameretta adibita a sala d’attesa, c’era mio fratello Arnaldo.
Era lì, beato, con altri suoi amici, a scherzare, giocare e ridere, in attesa di andare con queste meretrici per fare all’amore.
Non appena mio fratello mi vide, io scappai. La sera, quando rientrai a casa, presi tante botte e chi lo sa quanto ho penato per cercare un po’ d’amore a 17 anni anziché a 18. Io dovrei parlarvi di queste “case chiuse”.
C’erano in genere, dalle sei alle otto ragazze.
Ogni quindicina di giorni cambiavano i volti delle signorine in questione che regolarmente si avvicendavano. Bisogna dire che il vedere queste ragazze faceva pena ma d’altronde, a quell’epoca, non avendo l’amore……si doveva andare solo nei “casini”.
Ecco la ragione per cui io truccai la carta d’identità, cambiando l’anno di nascita e riuscendo così a poter entrare a diciassette anni.
Un giorno ritornai con altri amici, sapendo con certezza di non poter trovare mio fratello o altri amici più grandi che potevano rimproverarci perché non avevamo ancora diciotto anni.
Quella volta riuscimmo, previa presentazione della carta d’identità, ad entrare in questa “casa” e facemmo anche all’amore. Ricordo: si pagavano 110 lire, forse sbaglio, 120 lire. Eravamo nel 1951.
Dopo alcuni anni, questa casa di tolleranza fu trasferita a De Matthaeis in località “Lo schioppo”, dove noi andavamo a fare i bagni al fiume. Mi ricordo, stavamo sempre in quella “casa”.
A quell’epoca l'amore - e mi riferisco al rapporto sessuale - lo potevamo trovare solo in queste case di tolleranza, perché per strada non c’era, come c’è oggi, questa libertà di abbracciarsi, baciarsi o “pomiciare”.
Allora queste cose erano più serie.
Con questo vorrei dire che se tornassero le case di tolleranza, ci sarebbe forse meno gioventù traviata, ci sarebbero molti matrimoni più duraturi, ci sarebbero tante cose in più, a differenza dell’epoca nostra.
Cosa vi debbo dire? Io sono rimasto traumatizzato in queste case di tolleranza.
Proseguendo con I miei ricordi. Il periodo immediatamente seguente andavamo a Roma: lì c’erano altre case di tolleranza e vi si trovavano delle bellissime ragazze. A Roma c'erano, insomma, i veri "templi dell’amore", dove si potevano avere rapporti sessuali.
Io non sono un uomo di lettere, non sono un uomo che riesce ad esprimere ciò che ha nella propria testa, però posso dire che il trauma l’ho risentito poi, quando ho cominciato ad essere più adulto, quando avevo ventitré, ventiquattro anni ed iniziavo a capire che quelle ragazze erano prigioniere.
Erano povere disgraziate costrette in queste “case” in attesa che arrivassero i clienti per poter guadagnare le 100 lire. Sono episodi che per certi versi sgomentano. Quando poi questi luoghi furono chiusi dalla legge “Merlin”, tutta l’Italia fece un sospiro di sollievo perché non c’erano più queste prigioniere dell’amore.
E consentitemi, al proposito, di esprimere una mia opinione personale al riguardo: quanti danni ha arrecato la chiusura delle “case chiuse”.
Oggi, per strada si vedono tutte queste meretrici che non fanno altro che chiedere soldi per fare all’amore in luoghi pubblici dove passa gente che assiste spesso a scene squallide.
Questi I miei ricordi, queste le mie sensazioni. Sono Mario Minotti. Sono Patacca.
Ero un ragazzo più precoce degli altri, un ragazzo con qualche esperienza e qualche "conoscenza" in più degli altri. Un ragazzo innamorato dell'amore.
Oggi, sono un uomo. Un uomo che ripensa sì agli anni che furono ed alle cose belle, ma che riflettendo, psicologicamente, rimane colpito dal ricordo che queste ragazze non potevano aprire le finestre perché c’erano delle catenelle ed erano come delle segregate.
Oggi finalmente capisco che quelle ragazze erano schiave, schiave d’amore ed il mio sorriso assume una connotazione amara.
Ci sarebbe tanto da parlare, ci sarebbe ancora da dilungarsi ma non trovo le parole adatte per far materializzare tutti I miei ricordi.
Quelli belli e quelli brutti.
Quelli degli anni del Casino di Frosinone.
Questo è tutto.
O quasi.
di Mario Minotti, detto "Patacca"