di Antonio e Marco Archilletti
"Partivamo vicino all' Osteria De Matteis, davanti all' attuale sede della Camera di Commercio, c'era un breve rettilineo e subito una curva a sinistra (la prima delle 23 curve del percorso).
Quel tratto di strada era anche l' arrivo e c'era una tribuna di ferro che poteva contenere un migliaio di persone.
Non c'era soltanto un singolo posto nel quale la gente preferiva affollare il percorso, sentivamo il calore e il rumore dei cittadini attorno a noi in ogni curva.
Pare che le presenze raggiungessero anche le cinquantamila unità, una città intera, ma alcuni giornali degli anni Cinquanta parlano addirittura di centomila presenze.
La prima parte del circuito era anche la più veloce.
Percorrevamo oltre un chilometro di strada diritta (l' attuale via Aldo Moro, in senso contrario a quello del traffico odierno) col gas spalancato e con la quarta marcia (o la quinta, a seconda della moto) inserita.
Chi disponeva del motore migliore doveva approfittare di quel rettilineo per prendere vantaggio in vista delle curve in salita di metà percorso.
Al Campo Sportivo si girava a sinistra, là cominciava una serie di curve impegnative, in salita.
Questo secondo tratto di gara faceva realmente la differenza, chi era più bravo poteva guadagnare la prima posizione e difenderla con successo fino al traguardo.
La curva del Campo Sportivo era anche una di quelle più affollate.
Salivamo rapidamente lungo viale Mazzini, affrontando due curve difficilissime: il curvone a sinistra dove c'è il monumento di Mastroianni e, passato il Nestor, la curva dell' INCIS.
Personalmente amavo questa curva, era il punto nel quale mi permettevo di rischiare qualcosa di più perché anche cadendo, vista la velocità ridotta, non mi sarei fatto male.
Da giovane, quando mi allenavo con le moto che avevo in negozio (con la scusa di doverle provare), affrontavo quella curva anche trenta volte al giorno.
Credo di aver costruito la mia vittoria del 1966 soprattutto nel tratto di gara che porta dal Campo Sportivo alla fine del Corso della Repubblica.
Alla curva dell' INCIS c'era il rilevamento delle posizioni da parte dello speaker e dei segnalatori.
Io avevo mio zio Peppe che mi ragguagliava in quel punto, e mio padre sul traguardo.
Nel breve curvone che costeggia la scuola Tiravanti tornavamo a raggiungere una velocità sostenuta, per pochi attimi, poi sentivo l' entusiasmo enorme della gente che invadeva la curva Zallocco, un punto lentissimo (da prima marcia) che precedeva la salita del Corso della Repubblica.
Quelli erano i cinquecento metri più pericolosi di tutto il circuito.
Nonostante le balle di paglia onnipresenti, c'era sempre il rischio di finire sugli spigoli di un marciapiede, di un palo o di una panchina.
La curva cieca del bar Tucci, dove mi dovevo sporgere per impostare la traiettoria, dava inizio all' ultima parte del tracciato, l' Alberata, tutta in discesa.
Qua era impensabile recuperare grandi distacchi, era più saggio evitare di cadere, specialmente quando si correva in autunno e le foglie umide occupavano l' asfalto.
Mio padre, Silverio, si trovò però a lottare gomito a gomito col grande Franco Mancini (di Isolaliri), una vera leggenda del motociclismo ciociaro, nell' ultimo giro della gara autunnale del 1953.
Dovevano rischiare per forza e caddero entrambi.
Si rialzarono e Silverio vinse con appena due decimi di vantaggio.
Uscendo dall' Alberata l' urlo della folla presente a De Matteis era impressionante.
Il mio ricordo del 1966 è ricco di emozione.
Non posso dimenticare che, terminato il primo giro, mi voltai e non vidi nessuno dietro di me.
Il segnale di mio padre diceva che avevo sette secondi di vantaggio.
Al secondo passaggio erano diventati quattordici.
Al terzo erano ventuno.
Dal quarto al dodicesimo giro pensai solamente a evitare guai".
Antonio Archilletti vinse il Circuito di Frosinone, con una Morini 175, nel 1966, davanti a Tintisona, ottimo pilota velletrano della Aermacchi.
Quel giorno fu profeta in patria, così come lo fu per due volte nel 1953 (a maggio e a novembre) suo padre Silverio.
Frosinone appare negli albi d' oro del motociclismo italiano con grande onore e rispetto.
Le pubblicazioni dedicate a Libero Liberati, campione del mondo con la Gilera e idolo della città di Terni (che gli ha intitolato un monumento e lo stadio di calcio) riservano uno spazio di rilievo alla vittoria ottenuta a Frosinone dal centauro umbro nel 1948.
La Rumi, antica casa motociclistica di Bergamo, ricorda nella propria biografia ufficiale le gare frusinati, pubblicando foto splendide e i risultati ottenuti dai propri piloti, Zonca e Mancini su tutti.
Correva con la Rumi anche un autentico protagonista del Circuito di Frosinone, quel Giovanni Morgia che tutti conoscono col nomignolo di Bicchierino.
Era un pilota di grande talento, a quanto pare il più spericolato interprete del tracciato.
Un vero lottatore, tanto longevo da correre con due generazioni di campioni.
Fu infatti rivale sia di Silverio che di Antonio Archilletti.
Negli anni Cinquanta la rivalità tra Bicchierino e il vecio Silverio era diventata un vero oggetto di culto, una specie di Coppi-Bartali del motociclismo ciociaro.
Il giovane e velocissimo pilota emergente metteva in forte dubbio il ruolo di idolo locale dell' esperto e stilisticamente perfetto Silverio.
Quest' ultimo era ovviamente popolarissimo in città per il suo ruolo di concessionario di motociclette.
Il suo negozio è stato per oltre mezzo secolo un punto di riferimento per gli appassionati e per tutti i cittadini.
I piloti forestieri in gara a Frosinone poterono sempre contare sull' aiuto logistico e organizzativo di questo grande filosofo della moto.
Nel 1954, per stare vicino al varesino Libanori, favorito della gara ma gravemente infortunato nelle prove e dunque ricoverato all' ospedale, Silverio rinunciò a difendere il trofeo conquistato l' anno precedente.
Erano gli anni di maggior successo per il Circuito.
Mancini, Morgia e Silverio davano vita, assieme al romano Galliani, a gare emozionanti.
Bicchierino ricorda in tutto il leggendario Raymond Poulidor.
Costui, ciclista francese di livello eccelso, è conosciuto soprattutto per essere arrivato nove volte sul podio del Tour de France senza vestire neanche per un giorno la maglia gialla, una cosa praticamente impossibile, un record negativo che mette quasi tristezza...
Bicchierino ha inseguito la vittoria a Frosinone per quasi due decenni senza mai raggiungere l' obiettivo.
Si è dovuto accontentare di numerosissimi piazzamenti, tra i quali cinque secondi posti, ma è amato dagli appassionati come se avesse vinto. Proprio come Poulidor.
Il pilota frusinate le provò davvero tutte, facendosi notare anche per la facilità con la quale cambiava il mezzo tecnico: nel corso degli anni si è presentato al via della gara di casa con svariate marche, spesso di primissimo livello.
Con ognuna di queste moto Bicchierino riusciva a lottare (invano) per il successo finale.
I cinque secondi posti furono ottenuti con cinque marche diverse: CM, Rumi, Ducati, MV e Motobi. Con la Morini ottenne un quarto posto.
Chi è appassionato di motociclismo può testimoniare che si tratta di un caso straordinario.
Questo idolo locale dimostrò un talento e una capacità di adattamento che sfiorano il paranormale.
Si trovava a correre con moto affittate dal concessionario e fatte arrivare in città pochi giorni prima della gara, moto che avrebbe restituito subito dopo.
Il suo talento meritava ogni aiuto possibile, e il suo "arrangiarsi" non gli impedì di lottare ad armi pari con piloti che conoscevano il proprio mezzo tecnico come le proprie tasche.
La Gazzetta Ciociara raccontava così quella magnifica rivalità, introducendola con un classico "botta e risposta" tra tifosi (che solitamente si radunavano per parlare di moto e di ciclismo al bar di Borsellino, alla Stazione): "Bicchierino è cchiù forte de Archillette; ogge te gli piglia i gli straccia". "Ma lèuate uà; che sta a dì, Suruerio tè paura de Bicchierino; chessa è grossa mò"
Poco prima della disputa delle gare, queste, più o meno, sono le frasi che gli animati sportivi ciociari, assiepati lungo tutto l' anello del magnifico Circuito, si scambiano con lena e convinzione sempre crescenti.
C'è qualcuno che tenta di far sentire la necessità di considerare, in tutta la sua portata, la presenza di Mancini, di quel Mancini brillante quanto sfortunato protagonista dell' ultima edizione del Circuito, ma i più accesi sostenitori dell' una e dell' altra parte, non possono e non vogliono sentir ragioni: la gara, per loro, è tutta lì, in quei due nomi.
Bicchierino ed Archilletti devono essere i due protagonisti della corsa.
In quelle parole d' epoca c'è tutto il significato dello sport e dello spettacolo che, una settimana all' anno, ipnotizzava i cittadini del Capoluogo e dei paesi limitrofi.
Giancarlo Bevilacqua, memoria storica e anima del motoclub, ci ha raccontato la sua esperienza di organizzatore negli anni di maggior successo: "Facevo il cassiere, accettavo le sottoscrizioni volontarie del pubblico.
Praticamente non riuscivo a gustarmi la competizione perché ero in giro tra il pubblico per tutta la giornata.
Le automobili parcheggiate arrivavano, dalla parte di Via Maria, fino a Castelmassimo, all' attuale uscita della superstrada per Sora.
Sulla Casilina c'erano macchine fino al confine col comune di Ferentino, mentre sulla statale per Fiuggi arrivavano fino al confine con Alatri (Tecchiena).
Solo il versante dei Lepini (Patrica e Ceccano) sembrava coinvolgere meno spettatori. Posso affermare che nel 1963, anno nel quale ho iniziato ad aiutare il motoclub assieme ad altri amici, c'erano sicuramente centomila persone". Gli anni Cinquanta e Sessanta furono i più coinvolgenti ed entusiasmanti ma le strade frusinati avevano accolto il motociclismo di alto livello già prima della Seconda Guerra Mondiale.La prima edizione si disputò addirittura nel 1927. Vinse Enrico Periccioli su Sunbeam 500, guidando a 80 di media su un percorso, mai più riproposto, che prevedeva un tratto iniziale molto veloce a Tecchiena. Pioveva a dirotto, come ricorda Carlo Magni, storico organizzatore del Circuito, in uno scritto del 1948 pubblicato dal giornale Moto Bellator Frusino. "In quel lontano 1927 Enrico Periccioli da Siena, vinse da leone su Sunbeam 500 dopo aver sfrecciato con gli altri, sotto la pioggia torrenziale sulla Casilina allora non cilindrata né bitumata. Sembrava un guizzante motoscafo. Violentemente le acque delle buche, e quelle che copiose scorrevano verso gli argini stradali, spartivansi. Il pubblico stupiva di fronte a tanta temerarietà e spirito di lotta di quei centauri. Anche allora l' organizzazione, dopo una drammatica vicenda di puntigliosa formalità ostacolante la prima manifestazione motoristica frusinate, trionfò su tutto: sull' avversità di uomini e metereologica. Così fu varato il primo circuito denominato di Tecchiena, perché la gara transitava nella tenuta di Tecchiena che apparteneva a quell' appassionatissimo sportivo che fu il compianto Conte Domenico Antonelli caduto, per mitragliamento aereo nella recente guerra, a Durazzo". Carlo Magni era l' anima del Circuito, del quale fu organizzatore, scrittore e perfino poeta ufficiale. Le varie edizioni richiamarono a ruoli di partecipazione e patrocinio politici importanti, sia al tempo della propaganda fascista che nel dopoguerra andreottiano. In particolare, le edizioni degli anni 1936, 1937 e 1938 furono realizzate sotto il segno del regime di Benito Mussolini. Nelle cronache dell' epoca i commenti sportivi erano accompagnati dai riferimenti alla soddisfazione del pubblico mediante la ricorrente espressione "successo di propaganda". Furono effettivamente momenti sportivi notevoli. La gara del 1936 ci ha tramandato la storia di un motociclista che ha vissuto un autentico giorno da leone. Sisto Paniccia, conosciutissimo imprenditore frusinate, disputò quel giorno la sua unica competizione ufficiale. "La gara era dedicata a un uomo di fiducia del duce, Rodolfo Graziani. Io gareggiai con una Guzzi affidatami da Sisto Celletti. Era la mia prima corsa vera, però conoscevo a memoria il circuito perché da anni sfidavo lungo le strade di Frosinone i miei amici Mario Laretti e Vincenzo D' Itri. Il primo era spericolato, dava sempre il massimo mettendo a dura prova la meccanica della moto, il secondo era più attento e tecnico. Io ero tecnico e spericolato".Ride senza falsa modestia il vecchio Sisto, ricordando con gioia quegli anni (dal '33 al '37) di sport amatoriale ed epico. Quella del 1936 fu la sua unica apparizione in una gara regolarmente riconosciuta. Fu l' eroe della giornata, esaltato e acclamato dal pubblico che lo spingeva verso il successo contro i forti piloti ufficiali forestieri. Un problema tecnico (rimase senza benzina) lo relegò al quarto posto in una corsa con 42 concorrenti. Lui ci tiene a precisare che tra i tre che lo precedettero c'erano due piloti ufficiali. Uno era il grande Amilcare Rossetti, su Norton, che vinse quella gara e che avrebbe in seguito raggiunto addirittura il titolo di campione d' Europa in un periodo nel quale il Campionato del Mondo non esisteva. Paniccia partì per l' Africa nel 1937, cominciò la sua carriera lavorativa e non tornò mai più a lottare su una moto. Eppure, sulle strade di Frosinone, non si sentiva inferiore neanche a leggendari campioni come Rossetti, Ascari (che corse senza fortuna a Frosinone nel '37) e Masserini…Per i piloti frusinati questa gara aveva chiaramente un significato speciale. Benito Nicoli, per esempio, riuscì ad essere profeta in patria proprio nell' ultima occasione possibile: il suo, infatti, rimane l' ultimo nome nell' albo d' oro grazie al trionfo ottenuto nel Circuito del 1969. In quella che si può considerare la più anomala delle edizioni, a causa del bizzarro (e onestamente bruttino) tracciato scelto dagli organizzatori, il pilota di casa portò al successo la sua Aermacchi 250, rimontando svariati avversari sotto una pioggia scrosciante. Fu l' ultima edizione del Circuito. L' organizzazione volle promuovere l' inaugurazione del "viadotto Biondi" facendo passare (in discesa) le moto su quel tratto di strada, cancellando così una parte storica e memorabile del Circuito, quella che porta dalla curva dell' INCIS fino al penultimo tornante dell' Alberata. La vittoria di Nicoli è, per così dire, monca, ma il suo nome ha pari ufficilità rispetto a quello degli altri vincitori. Fausto Amicucci, di Ferentino, sfiorò due volte il successo, portando comunque sul podio la sua Rumi. Italo Biondi, Alberto Fongoli, Giuseppe Pagliarosi, Raffaele D' Amico, Mario Arduini, Federico Cioè: sono nomi che hanno sostenuto il motociclismo ciociaro con passione ed entusiasmo negli anni d' oro del Circuito. Meritano più di una menzione altri personaggi fondamentali per questo sport meraviglioso...Franco Cufrini, pilota ma soprattutto meccanico di fiducia dei campioni locali, collaboratore degli Archilletti e di Bicchierino. Era un vero maestro della meccanica, il migliore in tutta la provincia di Frosinone. Per quasi vent' anni preparò da solo le proprie moto e quelle dei campioni che abbiamo ricordato poc' anzi. Antonio Archilletti dice di aver imparato tutto il sapere tecnico da Cufrini, anche se nel 1966 fu Elvidio Pallotta a mettere a punto la Morini 175 del trionfo. Franco Frasca fu invece discreto pilota, con alcuni piazzamenti nei primi dieci, ed è memoria storica di assoluto livello. Questi nomi contengono storie, odori, emozioni, brividi, ricordi, sacrifici, gioie che, agli occhi di chi non c'era appaiono limpidi solo in parte. Per quanto la descrizione di quei momenti possa essere attenta, attraverso parole e immagini sbiadite (e non), la realtà delle cose appartiene alla memoria vivissima e alla passione di questi piccoli eroi della nostra città. La realtà delle cose appartiene alle loro facce e alle loro motociclette. Le loro splendide motociclette...I piloti ufficiali disponevano di mezzi provenienti direttamente dalle case madri, mezzi che talvolta restavano in loro possesso anche per tutta la stagione. Era il caso dei campioni che arrivavano da fuori: Rossetti, con la Norton, e Ascari, il mitico ferrarista che si dilettava in moto con la Gilera. Ettore Villa era un' altra bandiera della Gilera, come Libero Liberati, che invece vinse a Frosinone in sella a una Guzzi pagata dagli stessi tifosi ternani. Gli anni Cinquanta narrano di grani difficoltà, specialmente per i piloti ciociari, nella ricerca del mezzo competitivo. La Mondial 125 (a quattro tempi) era una moto vincente (come dimostrano i ripetuti succesi del romano Galliani), contrapposta alle agguerrite Morini e Rumi (a due tempi). Silverio Archilletti fu protagonista assoluto nel 1953, trionfando con due diverse MV, una a due tempi e una a quattro tempi. Il "vecio" era davvero imbattibile in quel momento...Queste moto-gioiello arrivavano ai piloti locali grazie ai concessionari, che le prestavano ai centauri migliori. Bicchierino esordì con una Rumi (nel 1953), mentre Silverio Archilletti e Mancini potevano ordinare direttamente la moto preferita alla casa madre, gestendo in proprio (con il meccanico di fiducia) la messa a punto. Indubbiamente il buon Morgia era svantaggiato da questi particolari, tanto da esaltare i suoi sostenitori: si sa che, negli sport motoristici, è considerata quasi una colpa quella di vincere col mezzo migliore...Mario Laretti (divenuto concessionario dopo i fasti “agonistici” dell’ anteguerra), negli anni seguenti, riuscì a procurare a Bicchierino la moto migliore possibile, senza riuscire a consegnargli la formula magica per giungere fino al gradino più alto del podio. Il meccanico Frasca era invece un autarchico: comprava la moto e la metteva a punto nella propria officina. Quando si dice la passione...Il Circuito ospitò anche le auto (nel 1953, vinse Leonardi su una Stanguellini 750 davanti a Taraschi su Jaur. Partecipò anche la veterana DeFilippis), che correvano in senso contrario rispetto alle moto, con l' Alberata in salita. Ci fu anche una corsa di K250 (macchine a ruote scoperte, piccole e agili, con motori Ducati 250) vinta da Claudio Francisci. Ma il bello di questa storia viaggia su due ruote. Per sempre.
Marco Archilletti