PREISTORIA E PROTOSTORIA
I manufatti in calcare e selce rinvenuti presso la collina di Selva dei Muli, rilievo isolato nella pianura ad ovest di Frosinone, documentano le prime tracce di frequentazione del territorio risalenti al Paleolitico inferiore (circa 250.000 anni fa).
Durante l'Eneolitico (III millennio e secoli iniziali del II) si sviluppa, sempre nei pressi di Selva dei Muli, un esteso villaggio di capanne. La ceramica rinvenuta nel villaggio è prevalentemente di impasto grossolano, spesso con squame sovrapposte e cordoni a rilievo; più rara l’attestazione di vasi con pareti sottili, talora decorati da motivi geometrici. La presenza di elementi di falcetti e di macine in pietra lavica indizia la pratica dell’agricoltura, i resti di faune e le numerose punte di freccia in selce indicano forme di sussistenza basate soprattutto sull’allevamento del maiale e sulla caccia al cervo.
Il passaggio dalla Preistoria alla Protostoria, connotato dalla formazione di insediamenti stabili e duraturi e dal configurarsi di società più complesse, è documentato a Frosinone da diverse presenze archeologiche.
Numerosi e significativi i reperti riferibili all’Età del bronzo finale (XII-X sec. a.C.): in questo periodo, come dimostra il vasellame ceramico e gli utensili fittili rinvenuti nei pressi del Viadotto Biondi, si registra l’occupazione della parte più alta e maggiormente difendibile del colle sul quale si svilupperà anche la città romana.
Con l'Età del ferro, nell'ambito della quale avviene il passaggio dalla Protostoria alla Storia propriamente detta, le evidenze archeologiche di Frosinone si distribuiscono su gran parte dell’area urbana odierna, indicando forme di insediamento diffuse, sia sui rilievi intermedi che nella zona a valle attraversata dal fiume Cosa. Particolarmente rilevanti e significativi i rinvenimenti effettuati nei siti di Fraginale e Fontanelle, occupati in modo stabile fin dal IX sec. a.C.: il vasellame da mensa e da fuoco, i fornelli per la cottura dei cibi, gli utensili fittili per la tessitura e la filatura della lana documentano le attività domestiche, mentre quelle artigianali, come la lavorazione del ferro e della ceramica, sono indiziate dalle scorie di fusione e dai resti di fornaci per la cottura dei vasi.
FROSINONE IN ETÀ ARCAICA
Nel corso del VII sec. a.C. alcune delle zone che hanno restituito materiali riferibili a contesti di abitato subiscono un radicale cambiamento di funzione, denotato dal rinvenimento di tombe che tagliano la stratificazione precedente: sono queste le prime tracce di un'infiltrazione dall'esterno che sembrano preannunciare la successiva e piena occupazione volsca del sito.
I Volsci, estranei al sostrato originario del territorio laziale e forse provenienti dalla zona centro-appenninica, costituiscono a tutt'oggi una delle popolazioni preromane meno indagate sul piano archeologico: i corredi funerari di Frosinone compresi tra la fine del VI e il V sec. a.C., attribuibili all’insediamento stabile dei Volsci, rivestono pertanto un particolare interesse. Gli elementi che compongono tali corredi, trovati in tombe del tipo a fossa con copertura a tegoloni di terracotta o a cassa formata da lastre di pietra, consistono soprattutto in vasellame ceramico da mensa o da cucina: scodelle e brocche per il consumo dei cibi e delle bevande, olle per la conservazione o la cottura degli alimenti. Presenti anche alcuni vasi miniaturistici dalla funzione non reale ma simbolica, forse legata ai riti funerari, e, in un caso, armi in ferro, che segnalano in genere individui-guerrieri di rango socialmente elevato.
I dati di Frosinone collegabili al processo di infiltrazione e di occupazione volsca, si integrano con una serie di testimonianze archeologiche provenienti da altri siti del Lazio meridionale interno (Boville Ernica, Patrica, San Giorgio a Liri). Si tratta in particolare di armi, oggetti di ornamento personale e ceramiche databili a partire dalla fine del VII sec. a.C., fortemente caratterizzati dal punto di vista tipologico e indicativi di una certa cultura materiale distinta da quella attestata per la parte del Lazio storicamente occupata dai Latini.
Altro elemento di grande interesse è l' "Antefissa Valle", rinvenuta nel 1926 in via Ferrarelli. Il pezzo, che raffigura una testa femminile databile agli ultimi decenni del VI sec. a.C., doveva appartenere alla decorazione in terracotta del tetto forse di un tempio di tipo etrusco-italico.
L'antefissa, di cui è esposta la riproduzione al vero, attesta per i suoi tratti stilistici la precoce penetrazione verso il meridione, lungo la via interna della valle del Sacco, di modelli e artigiani provenienti dall’area etrusca.
FROSINONE IN ETÀ ROMANA
Introduzione storico-topografica
L’antico centro urbano di Frosinone sorge su un’altura lambita dal fiume Cosa, al confine tra i territori occupati dalle popolazioni preromane dei Volsci e degli Ernici, in posizione dominante la valle del fiume Sacco. La collina raggiunge la sommità di m 291 s.l.m., ed è circondata a Nord dalle propaggini montuose dei Monti Ernici e dal territorio di Ferentinum (oggi Ferentino), ad Est da quello di Verulae (Veroli), mentre ad Ovest e a Sud rispettivamente dai Monti Lepini e dalla valle del Sacco. Allo stesso modo di Anagni, Ferentino, Alatri e Veroli (gli antichi centri ernici), Frosinone è impostata su pendii scoscesi, con uno schema geometrico irregolare, organizzato su diversi livelli, che esalta la forma urbana, particolarmente evidente nel paesaggio. Di fatto la configurazione dell’altura influì sicuramente in modo determinante sia sull’impianto urbanistico che sul sistema difensivo della città.
Nella tradizione letteraria classica, Frùsino è citata da diversi autori antichi che hanno narrato alcuni tra gli avvenimenti storici di cui essa fu protagonista, oppure che hanno fornito qualche informazione sulla sua topografia urbana. Nell’ambito delle vicende connesse all’espansione di Roma nel Lazio Meridionale, alla fine del IV secolo a.C., il centro volsco di Frùsino rivestì un ruolo determinante, mostrando forti contrasti ed ostilità nei confronti dell’avanzata romana.
Secondo il racconto di Diodoro Siculo (Diod. Sic. XX, 80, 4) e di Tito Livio (Liv. X, I, 3), la città fu annessa allo stato romano nel 303 a.C., subendo la decurtazione di circa un terzo del territorio per aver precedentemente provocato una rivolta degli Ernici contro Roma nel 306 a.C. Come si era verificato per Anagnia (Anagni) ed Arpinum (Arpino), molto probabilmente anche Frùsino fu considerata da Roma come una civitas sine suffragio (“comunità senza diritto di voto”), e fu amministrata come una praefectura, mediante l’invio, direttamente da Roma, di un praefectus iuri dicundo, cioè un magistrato preposto alla gestione della giustizia e delle altre funzioni locali (Fest., 293, 14-15).
A proposito degli avvenimenti relativi alla Seconda Guerra Punica, lo storico Tito Livio (Liv. XXVI, IX, 11-12) descrive il passaggio di Annibale per Frusinatem Ferentinatemque et Anagninum agrum (“attraverso il territorio di Frosinone, Ferentino ed Anagni”) durante la sua audace marcia del 211 a.C. che lo condusse fin sotto le mura di Roma. Al medesimo periodo storico fanno riferimento i versi del poema epico di Silio Italico (Sil. Ital. VIII 398, XII 532), nei quali vengono evidenziati la conformazione geografica della città in posizione dominante ed il carattere fiero e valoroso della sua popolazione.
Il successivo passaggio alla più evoluta forma di amministrazione del municipium, forse avvenuto a seguito della guerra sociale (ancora nel I sec. a.C.), non è ricordato da alcuna fonte, mentre varie epigrafi di età imperiale, osservate in passato ma oggi disperse, testimoniano per la città in quell’epoca la condizione di colonia, documentando cariche pubbliche tipiche di questa ulteriore forma di amministrazione, come il duovirato ed un decurio coloniae frusinatium (“decurione della colonia”). La conferma di una deduzione coloniale è del resto fornita anche dal Liber Coloniarum, da cui si evince che il territorio di Frosinone, oppidum (“centro d’altura”) difeso da mura, fu assegnato a soldati veterani, probabilmente fedeli a Silla.
Anche le notizie riguardanti gli aspetti propri della topografia urbana sono molto poche: si tratta per lo più di alcune brevi menzioni e notazioni contenute essenzialmente nell’opera storica di Tito Livio (Liv. XXX, 38, che ricorda, a proposito degli eventi dell’anno 202 a.C., la presenza di una cinta muraria difensiva), e nella Geografia di Strabone (Strab. V, 237). In quest’ultimo testo, a seguito di un elenco delle strade del Latium, vengono descritte le città più importanti ubicate lungo il percorso della via Latina (pressappoco corrispondente al tracciato dell’odierna via Casilina): in particolare, il geografo greco vissuto all’epoca di Augusto ricorda che Frùsino sorge presso il fiume Cosa, 7 miglia dopo Ferentinum, ed era appunto attraversata dalla grande strada. Altre brevi citazioni si possono recuperare nella famosa commedia dei Captivi (“I prigionieri”) di Plauto (Plaut., Capt. 883), nonchè in un racconto di Cicerone in cui il grande oratore si mostra interessato all’acquisto di un fondo nel territorio di Frùsino negli anni compresi tra il 48 ed il 47 a.C. (Cic., ad Att. XI 4,1; 13,4).
Infine, per la prima età imperiale, Plinio il Vecchio (Plin., N. H. III, 64) enumera i Frusinates tra le comunità del territorio inserito nella Regio I, mentre il poeta Giovenale (Iuven. III, 224) ricorda il centro come un luogo tranquillo e piacevole.
Negli ultimi anni, le scoperte archeologiche hanno permesso di acquisire nuove informazioni indispensabili per lo studio dei periodi precedenti la romanizzazione, in particolare per quanto riguarda le vicende dell’abitato in età protostorica e volsca.
Oltre ad alcuni nuclei di necropoli risalenti a quest’ultima epoca, individuati a partire dagli anni ’60 del Novecento nel settore di fondovalle della città moderna (e, in particolare, con le recenti indagini nell’area limitrofa al piazzale De Mattheis, che hanno portato al rinvenimento di decine di sepolture con i relativi corredi funerari), le ricerche archeologiche effettuate nell’anno 2000 nei pressi della Villa Comunale, a ridosso di un antico asse stradale essenziale per i percorsi della transumanza dall’entroterra verso il mare, hanno permesso di identificare, dopo quelli già noti di Fraginale (caserma dei Carabinieri) e di Fontanelle (vicino l’attuale campo sportivo), un altro interessante insediamento di età arcaica.
Purtroppo, allo stato attuale si conoscono poche evidenze archeologiche e limitate tracce del tessuto urbanistico di età romana, obliterato dalla continuità di vita dell’abitato e dalla conseguente progressiva cancellazione delle strutture emergenti. Le notizie sul rinvenimento, ancora nell’Ottocento, di porzioni di mura e di edifici antichi permettono tuttavia di ipotizzare che il centro urbano di epoca romana si estendesse nella medesima area del nucleo storico della città odierna: ad esempio, in via Rattazzi (allora chiamata “Civita”), fu notata la presenza di “grandi massi di travertino, sovrapposti senza cemento, sui quali alcune famiglie private nel passato secolo hanno costruito edifizi, facendo servire quei massi di fondamenta” (A. Fiorelli, in “Notizie degli Scavi di Antichità” 1877 e 1878). Tali informazioni, insieme ad altri elementi come l’orografia del sito e la toponomastica, inducono ad identificare il punto più alto dell’abitato, tra la Prefettura e la Chiesa di Santa Maria, come l’antica acropoli: in effetti, non è certamente casuale l’ubicazione, proprio sulla sommità del colle, della Cattedrale, esistente almeno già dal XII sec., e del suo imponente campanile da cui si controlla tutta la valle del Sacco, dai Monti Enici ai Lepini. È interessante segnalare come i materiali utilizzati nella costruzione della grande base quadrata e del primo dei tre ordini di bifore che scandiscono quest’ultima struttura siano assolutamente non omogenei, probabilmente proprio perché provenienti da costruzioni di epoche più antiche, come per esempio i grandi blocchi di calcare e di basalto, quasi sicuramente riferibili, rispettivamente, a murature e a porzioni di lastricato stradale dell’acropoli della città romana. L’antico foro di Frùsino è stato invece identificato, già in passato e con un certa verosimiglianza, in uno dei pochi settori del centro storico mai occupati da costruzioni, cioè l’odierna Piazza Garibaldi, dove peraltro furono rinvenute casualmente almeno due sculture in marmo (una statua di loricato, probabilmente a carattere onorario, e una testa di fanciullo), oggi conservate nel Museo Archeologico Comunale.
La città era attraversata, in direzione pressappoco Nord-Sud, dalla via Latina, che, dopo aver oltrepassato il fiume Cosa in località “Ponte della Fontana”, ne rappresentava anche la viabilità principale: lungo questa direttrice dovevano essere collocati gli antichi accessi al centro fortificato, che si aprivano a Nord sulla valle percorsa dal fiume Cosa, e a Sud sui pendii collinari di Torrice ed Arnara, in maniera esattamente analoga a quanto verificabile per le due porte ancora esistenti (denominate Porta Garibaldi e Porta Campagiorni), poste rispettivamente sul lato settentrionale e meridionale della collina. Nella fascia settentrionale di medio pendio del rilievo, all’esterno del circuito murario, è attestato un quartiere residenziale suburbano, che, interessato dal passaggio della via Latina, sembra svilupparsi almeno fin dall’età tardo-repubblicana: in questo settore, corrispondente all’attuale “Rione Giardino”, circoscritto alla zona di via Ferrarelli, via Giordano Bruno, e viale Roma, un’ampia serie di rinvenimenti occasionali, registrati dai primi decenni dell’Ottocento e fino alla seconda metà del Novecento, documenta infatti la presenza di domus ricche ed articolate nello sviluppo planimetrico e nella decorazione architettonica. In particolare, furono osservate varie strutture in opera cementizia, alcuni pavimenti a mosaico ed in cocciopesto (cioè malta mescolata a terracotta tritata) nonché diversi frammenti di decorazioni architettoniche, oltre ad un tratto di strada basolata che, ancora conservato nella posizione originaria in via Ferrarelli, è probabilmente pertinente ad un diverticolo della via Latina con andamento Est-Ovest.
Tra il 1829 ed il 1832, gli sterri all’interno di un fondo attraversato da viali e tenuto a frutteti (e pertanto denominato “il Pereto” o “il Giardino”), nell’area dell’odierno viale Roma, durante la realizzazione di questa arteria di comunicazione (caratterizzata da tornanti e terrapieni di contenimento), permisero di osservare i resti di diverse evidenze (e di cui alcuni erano già parzialmente visibili), quali pavimenti musivi, strutture murarie con funzione sostruttiva costruite in opera cementizia, ed ancora “pozzi di terracotta”, nonché di recuperare materiali archeologici vari, tra cui “due piccoli busti e alcune monete”, un blocco “di travertino decorato con testa di bue” (probabilmente il concio che costituiva la chiave di volta di una struttura ad arco di grandi dimensioni, verosimilmente una delle porte delle mura urbane), ed una tessera rettangolare d’ingresso in avorio (“con l’iscrizione CVN • I • IN • X e sul rovescio VIII”), già allora venduta ad un antiquario romano. Quest’ultimo oggetto sembrò confermare la presenza dell’anfiteatro che, secondo gli eruditi locali del tempo, doveva essere identificato nei resti di una struttura muraria curvilinea di grandi dimensioni individuata durante gli scavi ma in seguito correttamente riconosciuta come una sostruzione.
Il sito del piccolo edificio per spettacoli, realizzato tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C. (e di cui il Museo Archeologico Comunale espone un plastico ricostruttivo in scala 1:100) fu invece individuato soltanto nel 1965 in viale Roma, nei pressi della località di “Ponte della Fontana”, laddove la via Latina giungeva a Frosinone da Nord, lungo la direttrice dell’attuale via Casilina, che qui conserva ancora oggi un andamento rettilineo. Gli sbancamenti per la costruzione di un complesso edilizio riportarono infatti alla luce una porzione delle fondazioni del monumento e due brevi tratti dell’alzato con paramento in opera mista, in prossimità dell’ingresso nord-occidentale: mentre la presenza di questa tecnica edilizia, attestata a partire dagli ultimi anni del I secolo d.C., ha permesso di definirne la cronologia, le strutture attualmente visibili dell’anfiteatro sono rappresentate dai resti in opera cementizia delle concamerazioni di sostegno dell’intero lato sudoccidentale (nonché di un breve settore di quello nordorientale) della cavea. L’esemplare frusinate, situato ai piedi del centro urbano su un plateau naturale attraversato dalla via Latina (come testimoniano i numerosi basoli contenuti nei terreni di risulta degli sterri) presentava la forma ellittica tipica di questi edifici, con un asse maggiore di circa m 80 ed un asse minore di circa m 60, e doveva avere un unico ordine di gradinate, arrivando a contenere circa 2000 spettatori. La posizione decentrata della struttura (che conferma il completamento di un processo di occupazione progressiva del medio versante settentrionale dell’altura, a cui bisogna riferire anche lo sviluppo del citato quartiere suburbano di via Ferrarelli), nonché la sua vicinanza al tracciato stradale principale, inducono ad ipotizzarne uno stretto legame con un territorio ben più ampio rispetto a quello del centro urbano vero e proprio.
Dopo quelle finora ricordate, infine, si segnalano le informazioni desunte da una serie di ritrovamenti sempre nella zona attraversata da viale Roma, oggi parzialmente sottoposta a vincoli e quindi rimasta essenzialmente non edificata: in particolare, oltre ai “tratti di murature” e ai “frammenti di vasi a vernice nera” rinvenuti lungo i margini del viale durante la costruzione dei marciapiedi negli anni ’80 del Novecento, e ad una “sepoltura romana” osservata in corrispondenza del viadotto Biondi, si fa riferimento all’individuazione di una piccola area archeologica (circa mq 200) indagata tra il 1996 e il 2000. Nella zona in questione, furono infatti individuati pochi resti murari, databili ancora “entro il IV secolo a.C.” (cioè nella “fase immediatamente precedente alla conquista romana”), il cui “primo impianto… è rappresentato, allo stato attuale, da residui di fondazioni” realizzate mediante l’impiego di “pietre e blocchi calcarei appena sbozzati, scaglie di basalto e di arenaria”… “irregolarmente sovrapposti a secco”, nei cui interstizi fu notata la presenza di “terra argillosa e sporadici spezzoni di tegole, inseriti con probabile funzione di rincalzo”. Al di là della sua ridotta monumentalità ed estensione, tuttavia, il sito archeologico di Viale Roma, che ha restituito anche numerosi reperti archeologici, riveste comunque un importante interesse scientifico, documentando la presenza di una struttura apparentemente caratterizzata da diverse funzioni oltre a quella abitativa: se infatti alcune evidenze rimandano ad attività siderurgiche artigianali (quali la lavorazione di ferro e bronzo), altri elementi (come vari oggetti di uso e destinazione votiva, o comunque indirettamente indicatori di una connotazione cultuale dell’area) sembrano riferibili alla sfera sacrale.
Il Direttore Museo Archeologico